“Twisting”: un nuovo segnale per tentare di prevedere un terremoto

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“Twisting”: un nuovo segnale per tentare di prevedere un terremoto
COMUNICATO STAMPA

L’intuizione del lavoro, dal titolo “Probing the seismic cycle timing with coseismic twisting of subduction margins”, appena pubblicato su
Link identifier #identifier__25639-1Nature Communications, è di riprodurre in laboratorio i megaterremoti, studiando nel dettaglio l’interazione tra zone limitrofe della faglia che li ha generati

Roma, 22 aprile 2022 - È più vicina la possibilità di prevedere un terremoto? A fornire un nuovo strumento alla ricerca per risolvere una questione che tuttora è una sfida per la scienza sono i megaterremoti.
Di eccezionale violenza, hanno una magnitudo generalmente superiore a 8,5, sono causati dall'interazione tra due placche tettoniche in una zona di subduzione, ad una profondità compresa tra 10 e 50 chilometri. I numerosi dati geodetici a disposizione, legati a tali eventi sismici, come il terremoto Tōhoku-oki del 2011, che ha colpito la costa pacifica del Giappone, hanno messo in luce un nuovo segnale che potrebbe indicare l’inizio o la fine del ciclo sismico dei segmenti limitrofi a quelli che hanno ospitato il megaterremoto.

Secondo i ricercatori, durante tali eventi si individua nei dati rilevati dalle stazioni geodetiche un segnale, all’apparenza un “vortice”. Si tratta di un pattern deformativo degli stadi cosismici e postsismici, tipico di una torsione attorno ad un asse verticale, che gli studiosi hanno definito “twisting”. Tale vortice rappresenta la risposta della crosta terrestre alla perturbazione causata dal megaterremoto.
Gli esperimenti, realizzati nel Laboratorio di Tettonica Sperimentale del Dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi Roma Tre, che permettono di riprodurre i megaterremoti in scala spaziale ridotta e temporale accelerata, hanno suggerito che le caratteristiche di questo “twisting” nascondono informazioni preziose sulla tempistica del ciclo sismico dei segmenti limitrofi a quelli che hanno ospitato il megaterremoto. Il twisting, infatti, sembra accelerare il movimento “verso terra” nei segmenti che sono nelle fasi iniziali del ciclo sismico, e decelerare il movimento “verso terra” nei segmenti dove il megaterremoto è imminente. Per esempio, le stazioni geodetiche posizionate nell’isola di Honshu, in Giappone hanno subito un’evidente accelerazione del loro moto “verso terra” proprio in occasione del megaterremoto di Tōhoku-oki nel 2011. Si ipotizza che l’accelerazione osservata sia dunque la manifestazione superficiale di una variazione di interazione tra le due placche nella zona di subduzione, proprio lì dove dovrebbe essere teoricamente maggiore questa variazione, ossia “ai lati” del megaterremoto, lungo la faglia di subduzione.

Il lavoro, dal titolo “Probing the seismic cycle timing with coseismic twisting of subduction margins”, appena pubblicato su Link identifier #identifier__42419-2Nature Communications, è stato condotto da un gruppo di ricercatori, guidati dal dott. Fabio Corbi, ex studente, dottorando e assegnista del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre, ora all’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria – CNR, in collaborazione con i dott. Jonathan Bedford e Zhiguo Deng dell’Helmholtz Centre Potsdam (Germania), il prof. Piero Poli dell’Université Grenoble Alpes (Francia) e la prof.ssa Francesca Funiciello, responsabile del Laboratorio di Tettonica Sperimentale del Dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi Roma Tre (Italia).

La metodologia della modellazione analogica dei processi tettonici si basa su modelli geometricamente, cinematicamente e dinamicamente simili al prototipo naturale. Questa caratteristica permette ai modelli analogici di evolvere in maniera verosimile rispetto al prototipo, concedendo al ricercatore l’eccezionale opportunità di osservare in laboratorio l’evoluzione di un fenomeno geologico per il quale sarebbero stati altrimenti necessari milioni di anni, o generalmente inaccessibile e del quale sono disponibili principalmente misure indirette.

“Grazie a questa metodologia – racconta Fabio Corbi - è stato possibile investigare come la copertura spaziale dei punti di misura e la quantità di dati necessari influenzino la prevedibilità dei terremoti di laboratorio. La crescente disponibilità di dati, ogni esperimento produce decine di GB di dati assimilabili a quelli geodetici, potrebbe permettere un giorno ai ricercatori di “allenare” l’intelligenza sfruttando i modelli analogici e successivamente esportare un modello predittivo al di fuori delle mura del laboratorio”.

INFORMAZIONI
Dipartimento di Scienze degli Studi Roma Tre
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