22902292 - LABORATORIO DI STORIA DEL LAVORO

Lezioni frontali, uso di documenti iconografici, fotografici, audiovisivi, interventi e testimonianze di protagonisti.
scheda docente | materiale didattico

Programma

Data la perdurante situazione di chiusura dell'Università, il programma del Laboratorio di storia del lavoro, prevede:
1. Lo studio del saggio, IL LAVORO E I LAVORI NEL CINEMA: TRA FICTION E DOCUMENTARI, del quale si offre copia del testo.
2. La predisposizione da parte dello studente di esaurienti schede di 5 film concernenti il tema del lavoro/dei lavori, che siano facilmente reperibili in rete. Per fare solo due esempi: "Tempi moderni" di Carlie Chaplin o "Giovanna" di Gillo Pontecorvo, disponibile nel sito dell'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. I titoli dei film scelti dallo studente debbono essere comunicati al docente via mail, anche al fine di ulteriori suggerimenti.
Quaderni Fondazione Marco Biagi ISSN 2239-6985
Registrazione presso il Tribunale di Modena n. 2031 del 03/05/2011
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Si prega di citare la pubblicazione con la seguente sigla, a seconda della esatta collocazione del contributo: QFMB Saggi QFMB Ricerche
IL LAVORO E I LAVORI NEL CINEMA: TRA FICTION E DOCUMENTARI Carlo Felice Casula – Università di Roma 3


SOMMARIO: 1. Chaplin, giusto un secolo fa 2. La storia come narrazione che cancella il lavoro 3. Filmare il lavoro 4. Scioperi, occupazioni, trattative


1. Chaplin, giusto un secolo fa

Charles Chaplin, agli intensi e già fortunati esordi di regista-attore, proprio quando si affermava la sua maschera di Vagabondo (Tramp), interpreta la parte anche del cameriere, del facchino, dell’infermiere, del panettiere, del marinaio, dell’immigrato, così come quella del boxeur e del ladro. È di questa stagione un impegnativo film, del 1915, noto in Italia come Charlot apprendista, che nel titolo originario, Work,1 sembra riassumere i tanti lavori nei quali soprattutto gli immigrati e i marginali trovavano occupazione nell’America del primo Novecento. Il titolo del film rinvia anche, consciamente o inconsciamente, alla vita stessa di Chaplin. Nella sua infanzia difficile, piena di povertà e miseria, simile alle tante raccontate da Charles Dickens, Charlie e il fratello maggiore Sidney si trovano soli per le strade degli slum londinesi e trascorrono anche alcuni anni in una workhouse, divenuta oggi The Cinema Museum di Londra.2 In The Work, Chaplin, porta sullo schermo la realtà dei lavoratori e le sue condizioni di sfruttamento e oppressione, attraverso la farsa e il grottesco, attraverso un registro emotivo e psicologico d’indubbia novità e originalità nel genere della commedia. Chaplin recita la parte dell’assistente di un tappezziere incaricato di fare il lavoro di restauro nell’imponente casa di una ricca famiglia di Los Angeles. La sequenza di apertura mostra Charlie che tira un carretto lungo una strada trafficata e lungo una ripida collina, con il padrone che, seduto nel sedile di guida, colpisce ripetutamente Charlie con una frusta: metafora pre-Ėjzenštejn, di grande potenza simbolica, dello sfruttamento e del

1 Work (USA 1915) è l’ottavo film muto prodotto per Essanay Films. Tra gli altri attori Edna Purviance, Marta Golden and Charles Insley. Work fu girato nei Majestic Studios di Los Angeles. 2 CHAPLIN C., 1964, La mia autobiografia, Mondadori, Milano.

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degrado dei lavoratori. Una seconda scena di grande efficacia è quella in cui la padrona di casa chiude in cassaforte i suoi averi all’arrivo dei due imbianchini. Charlie prontamente raccoglie orologio e pochi spiccioli in una tasca, chiudendola con una spilla, per rendere ridicolo il pregiudizio borghese della signora e, al contempo, rivendicare la sua pari dignità di lavoratore. A un secolo esatto dalla sua realizzazione questo splendido film appare indubbiamente, per diversi aspetti, come un’anticipazione e un preannuncio di Tempi Moderni, che, assieme a Metropolis3 di Fritz Lang4 e a Sciopero5 di Sergej Ėjzenštejn6, costituisce la trilogia filmica fondante delle interpretazioni e delle rappresentazioni del lavoro. Nella prima immagine un rinvio evidente al visionario ed espressionista film del grande regista tedesco, con l’enorme orologio e la lancetta dei secondi che corre verso l’alto a segnare il tempo dell’inizio del turno di lavoro: il tempo dei lavoratori è determinato inesorabilmente da un’autorità esterna. Il rinvio a Fritz Lang è evidente anche nella scena iniziale degli operai che escono intruppati dalla metropolitana per affrettarsi verso la fabbrica, dove alla catena di montaggio, divenuti, ormai, una semplice estensione della macchina, dovranno lavorare ripetendo movimenti rapidi, automatici che non concedono distrazioni, secondo un ritmo imposto da un dirigente lontano e misterioso, anch’egli alienato, tanto da dovere ricorrere continuamente a delle pillole. Solo apparentemente il film è una parodia del Taylorismo-Fordismo, già nel titolo, presentato come la realtà fondativa dei "tempi moderni". La sua radicale denuncia dell’estraneazione del lavoratore a se stesso, dopo essere stato ridotto a pura forza lavoro, espropriato dei beni che produce, nella narrazione del film fa riferimento anche alla realtà drammatica della grande depressione seguita alla crisi epocale del 1929, nella quale, per usare un’espressione elegante e perspicua di Karl Polanyi, era caduto rovinosamente il mito del mercato autoregolato.7

3 Metropolis, Germania 1927. Genere: drammatico; regia: Fritz Lang; Sceneggiatura: Fritz Lang, Thea von Harbou. Esistono diverse versioni del film, che si differenziano per durata e montaggio. Lang montò una prima versione nel 1927, che venne subito accorciata dallo stesso di oltre trenta minuti. In seguito furono distribuite altre versioni. Una prima versione restaurata è quella realizzata nel 1984 il Filmmuseum München, di 147 minuti. 4 BERTETTO, P., 1990, Fritz Lang. Metropolis, Lindau, Torino. 5 Sciopero, URSS 1925. Genere: drammatico; regia: Sergej Ėjzenštejn; sceneggiatura: Grigorij Alexsandrov, Maksim Strauch, Michail Gomarov; fotografia: Eduard Kazimirovič Tisse. 6 Sul realismo epico di Ėjzenštej, cfr. GOODWIN, J., 1993, Eisenstein, Cinema, and History, University of Illinois Press, Chicago. 7 L’evento epocale della caduta del mito del mercato autoregolato è analizzato nell’ormai classico studio dello storico ed economista ungherese Karl Polanyi, The Great Transformation, pubblicato a New York nel 1944. In traduzione italiana, 1974, La grande trasformazione, Einaudi, Torino.
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Tempi moderni, al di là del suo intento e del suo potere comico, è una critica raffinata e sempre attuale della condizione degli operai e degli uomini moderni tutti. Due considerazioni preliminari sono, pertanto, necessarie a proposito del tema tra cinema e lavoro. La prima, il Novecento è stato il secolo del lavoro, segnatamente del lavoro salariato e industriale, taylorista-fordista per una lunga sua parte, quindi anche secolo della fabbrica, della catena di montaggio, della produzione di massa. Secolo nel quale, già negli ultimi decenni, quel modo di lavorare cambia lasciandosi alle spalle il taylor-fordismo e dal lavoro si passa ai lavori, con meno vincoli e più responsabilità, meno fatica ma anche meno stabilità e tutela. È sufficiente al riguardo richiamare il libro di Aris Accornero, Era il secolo del lavoro8, che ricostruisce quello che i soggetti del lavoro hanno dato e avuto nel Novecento grazie alla produzione e al consumo di una strabiliante massa di beni e consumi. La seconda, il cinema è l’occhio del Novecento. Il cinema è stato l'arte che meglio ha saputo incarnare la grande svolta che il Novecento. Ha rappresentato nella storia dell'uomo, non solo per la modernità tecnologica dei suoi mezzi, ma anche, e in senso più profondo, perché ha saputo dar voce e influenzare una nuova società con diverse esigenze estetiche. Francesco Casetti, nel libro L'occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità9, guida il lettore alla riscoperta del cinema e della modernità, chiarendo perché il cinema vada considerato l'autentico occhio del Novecento.


2. La storia come narrazione che cancella il lavoro

Riporto di seguito una lunga e stimolante citazione tratta dal bel libro di Piero Bevilacqua, Sull’utilità della storia: "Dall’orizzonte della storia è stata quasi cancellata la realtà motrice dell’intera vita sociale: il lavoro. Come si possono infatti raccontare le fatiche del contadino sul suo campo, i movimenti ripetuti dell’operaio alla catena di montaggio, lo scavare quotidiano, sempre uguale, del minatore? Lo storico può certamente indicarli, descriverli una volta per tutte, ma non li può disporre entro lo svolgimento di una narrazione. E infatti esistono tante storie del lavoro, ma non sono racconti del lavoro all’opera. La giornata di un
8 ACCORNERO, A., 2000, Era il secolo del lavoro, Il Mulino, Bologna. 9 CASETTI, F., 2005, L' occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Bompiani, Milano.
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lavoratore non può essere raccontata. È un assurdo. Non diversamente dai fenomeni della natura, il lavoro è il regno dell’iterazione continua, dove gli eventi sono sempre gli stessi. Ma la storia, questo è noto, non racconta ripetizioni. Impegnata a narrare eventi sempre nuovi e significativi che si susseguono formando una trama nel tempo, essa non può prendere in alcuna considerazione fenomeni che non mutano. La sua intima necessità è di dar conto di una produzione di fatti che cambiano nel tempo e che a loro volta cambiano il tempo, nel senso che lo scandiscono linearmente e non lo costringono a svolgersi continuamente su se stesso. Si badi perciò alle conseguenze elementari che bisogna trarre da tale semplice scoperta. La storia, in quanto narrazione, è obbligata a cancellare il lavoro: vale a dire l’attività che produce i beni materiali necessari alla riproduzione fisica degli uomini, che consente l’accumulazione della ricchezza, la vita e la divisione fra le classi sociali, la fondazione di un potere politico centrale. È un paradosso gigantesco. Ciò che rende materialmente possibile la società, la condizione stessa di ogni storia, non può essere oggetto di racconto storico: l’oscuro e sporco sottomondo del lavoro deve restare, come una sorta di purgatorio della ripetizione, al di qua di ogni possibile narrazione. E non è l’antica macula servile, che si porta addosso da secoli, a condannarlo al silenzio. Non siamo di fronte solo all’oscuramento, orchestrato dalle classi dominanti, dell’opera svolta dai ceti produttivi"10. Anche se sono estimatore e amico di Bevilacqua non condivido in toto queste osservazioni, se non fosse altro, anche perché insegno da anni storia del lavoro e faccio parte della Società italiana di storia del lavoro (Sislav) 11, animata da Stefano Musso, autore di un fortunato libro, Storia del lavoro in Italia. Dall’unità a oggi.12 E svolge un’intensa attività di studio e di ricerca anche l’Istituto per la memoria e la cultura del lavoro, dell’impresa e dei diritti sociali (Ismel), un Centro archivistico-bibliotecario, di documentazione e ricerca, in cooperazione fra tre istituti culturali (Fondazione Gramsci, Fondazione Nocentini, Istituto Salvemini), dedicato alla memoria e alla cultura del lavoro, dell'impresa e dei diritti sociali.



10 BEVILACQUA, P., 1997, Sull’utilità della storia, Donzelli, Roma, 139-140. 11 Per le sue attività si rinvia al sito http://www.storialavoro.it. 12 MUSSO, S., 2002, Storia del lavoro in Italia. Dall’unità a oggi, Marsilio, Padova. Il libro ricostruisce nelle sue linee di fondo, con grande efficacia e rigore, le vicende del mondo del lavoro, nel divenire di lunga durata della società industriale in Italia, prendendo in considerazione diversi fattori, dalla condizione sociale dei lavoratori ai rapporti tra mondo contadino e operaio, dalla storia delle tecnologie al movimento degli scioperi.

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3. Filmare il lavoro

Come filmare il lavoro? Antonio Medici nell’introduzione a un numero corposo e denso degli Annali dell’Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico, Filmare il lavoro, scrive: "Cinema e lavoro. I termini in questione, da un lato i film, fiction e non, su qualsiasi supporto e di qualsiasi lunghezza, dall’altro il lavoro, i gesti, i tempi, condizioni. Si vuole indagare in che modo le immagini in movimento hanno rappresentato e rappresentano il lavoro, le tracce lasciate e da lasciare e ci si presenta subito, anche a una prima ricognizione, la storia di un occultamento, di una sottrazione allo sguardo e al massimo di un travestimento. Presso i mezzi di comunicazione che fanno della visibilità la condizione di esistenza dei loro significati (il cinema, la televisione), la quotidiana dannazione biblica del lavoro è invisibile, proprio nei termini di ciò che si ripeterebbe uguale ogni giorno, ogni ora, per gran parte della vita". 13 Si possono, insomma, certamente riprendere le macchine e i gesti degli operai, producendo belle immagini, ma questo darebbe conto della realtà del lavoro? Come evocare le polveri, gli odori, le cadenze infernali di otto ore consecutive, ma anche come dar conto per immagini delle relazioni sociali e dei pensieri profondi di questi lavoratori. Un film straordinario, da questo punto di vista è Umano, troppo umano di Louis Malle (1974). Un originale documentario, splendidamente fotografato, che testimonia le condizioni di lavoro in una catena di montaggio della Fabbrica Citroën, dove i lavoratori ripetono per ore e ore gli stessi gesti. Un film senza parole, senza un punto di vista dichiarato. Solo le macchine, i visi degli operai, il rumore assordante. Lo spettatore s’immerge completamente nella catena di montaggio.14 Evidente nel titolo il rinvio colto al primo saggio eminentemente filosofico di Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi, pubblicato in due parti tra il 1878 e il 1879.15 Se non è facile filmare il lavoro industriale, ancora più difficile è filmare quello del composito universo del terziario: Jean-Louis Comolli ha tentato di farlo con La vraie vie (dans les bureaux)
(1993), facendo parlare degli impiegati negli uffici vuoti, la sera dopo la
13 MEDICI, A. (a cura di), 2000, Filmare il lavoro, "Annali 3", Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico, Roma, 9. 14 Umano, troppo umano Francia 1972. Genere: documentario; regia: Louis Malle; fotografia: Etienne Becker; montaggio: Jocelyn Rivière, Reine Wekstein, Suzanne Baron; produzione: Les Nouvelles Editions du film/Nef; durata: 75 minuti. 15 Si rinvia alla edizione integrale dell’opera, nell’accurata traduzione italiana di Ulivieri, M., NIETZSCHE, F., 2010, Umano troppo umano, Newton Compton, Roma.
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chiusura, per dar conto degli anni passati nella loro Società d’assicurazione e interrogarsi sul senso della loro vita. Il critico e documentarista Jean - Louis Comolli, ex direttore dei Cahiers du Cinéma, con questo struggente film documentario a colori fa comprendere nel profondo la vera vita degli impiegati dentro gli uffici, presentata come un monologo di lavoro forzato in tutta la sua toccante banalità.16



4. Scioperi, occupazioni, trattative

È notoriamente raro e complicato per gli operatori cinematografici ottenere il permesso per entrare nei luoghi di produzione. È una delle ragioni per le quali non è facile filmare il lavoro. Occasione privilegiata per incontrare gli operai è, allora, lo sciopero e, ancor più, la fabbrica occupata: basti pensare, nel caso italiano al film fiction Giovanna17, del 1955, diretto dal giovanissimo Gillo Pontecorvo, con la collaborazione, fra gli altri, di Franco Solinas, Giuliano Montaldo. È l’episodio italiano di un progetto vasto e ambizioso sul lavoro delle donne nel mondo, denominato La Rosa dei venti, coordinato da Joris Ivens. Gli altri episodi riguardano il Brasile, la Russia, la Cina, la Cina e la Francia, ma non furono mai presentati nel loro insieme per disaccordi con i Russi. Giovanna racconta la lotta determinata e coraggiosa di un gruppo di operaie tessili contro la decisione dell’azienda di licenziare alcune di loro: esse occupano la fabbrica, iniziando un’esperienza nuova in cui il conflitto con il proprietario si mescola con i
16 La vraie vie (dans les bureau. Francia 1993; Genere: documentario; regia: Jean-Luois Comolli; fotografia: Jean-Louis Porte; montaggio: Anne Baudry; produzione: La Sept13; durata: 78 minuti. 17 Giovanna. Italia 1955; Genere: drammatico; regia: Gillo Pontecorvo; Sceneggiatura: Maximilian Scheer, Franco Solinas; fotografia: Enrico Menczer, attori: Armida Gianassi, Carla Pozzi; montaggio Ella Ensink; musiche: Wolfang Hohensee, Anatol Novikov, Tsi-Min, Mario Zafred; produzione: Giuliano De Negri per la Delta RDT; paese: Italia; durata 36 minuti. Il mediometraggio fu presentato alla Mostra del cinema di Venezia del 1956, dove questa prima esperienza narrativa di film a soggetto del giovane regista fu molto apprezzata dalla critica, che parlò di "purissimo film neorealista". Ora l'episodio è stato restaurato a cura della Federazione lavoratori tessili dell'Abbigliamento (Filtea) e dell'Archivio Audiovisivo del Movimento operaio e democratico (Aamod), con il finanziamento della Benetton, dell’Unipol e della Filtea. Il film restaurato è stato distribuito assieme al libro, curato da MEDICI, A., 2010, Giovanna. Storia di un film e del suo restauro. Con DVD, Ediesse, Roma. Nel volume il film è analizzato da un saggio introduttivo di Lietta Tornabuoni; ne viene pubblicata la sceneggiatura desunta, con un corredo fotografico; sono presentati documenti come il visto di censura e la descrizione del brano che fu censurato. Il racconto della sua storia produttiva è affidato alle testimonianze del regista, Gillo Pontecorvo, di due dei suoi principali collaboratori, Giuliano Montaldo e Franco Giraldi, del direttore della fotografia, Enrico Menczer, della protagonista, Armida Gianazzi, e a una documentazione relativa al film internazionale collettivo sulle donne La Rosa dei Venti, di cui Giovanna era l’episodio italiano. Paola Scarnati e Mario Musumeci raccontano la storia del restauro del film, salvato e conservato dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.
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problemi che nascono con le loro famiglie e i loro figli; infatti, accanto alla solidarietà della città emergono anche insofferenze patriarcali e maschiliste per questa inedita iniziativa di donne. L’altro film, del 1969, è un documentario: Apollon una fabbrica occupata18, diretto da Ugo Gregoretti con la voce narrante di Gian Maria Volontè. Il film è la cronaca della lunga occupazione della tipografia romana Apollon durata oltre un anno, alla fine degli anni Sessanta, nel clima dei forti movimenti studenteschi e operai. Interpretato dagli stessi giovani operai della fabbrica, con la voce narrante di Gian Maria Volontè, costituisce una testimonianza di lotta e fratellanza umana che attraverso numerose proiezioni in giro per l'Italia, grazie al sostegno della comunità dei cineasti e intellettuali italiani, cominciando da Cesare Zavattini, portò agli operai dell'Apollon 60 milioni di lire raccolti in segno di solidarietà in tutta Italia. Lo sciopero, strumento di lotta e di pressione della classe operaia e anche di dimostrazione della propria forza, crea e rinsalda i legami di solidarietà e può essere anche momento di allegria collettiva, ma quando si prolunga, di preoccupazione e tristezza, perché comporta la perdita del salario. Come rappresentare le trattative tra la base e il sindacato, tra le rappresentanze sindacali e quelle datoriali, tenendo conto anche del fatto che nelle agitazioni e negli scioperi, in tanti prendono la parola, si accendono dibattiti ampi e accesi? Come rappresentare, infine, che anche in caso di vittoria, essa non è mai totale e la ripresa del lavoro lascia spesso un gusto amaro? Due film mi sembrano da questo punto di vista esemplari: il primo fiction, I compagni,19, del 1963, di Mario Monicelli; il secondo, documentario: Fickering Flame20, del 1998, di Ken Loach.

18 Apollon una fabbrica occupata. Italia 1969; Genere: documentario; regia: Ugo Gregoretti; sceneggiatura: Ugo Gregoretti; fotografia: Ferruccio Castronuovo; montaggio: Ugo Gregoretti; produzione: Unitelefilm per conto del Cinegiornale libero n. 2; distribuzione: UTF; durata: 70 minuti. Il film è stato restaurato a cura del settimanale della Cgil, "Rassegna Sindacale" grazie al sostegno del Sindacato Pensionati (Spi Cgil), del sindacato lavoratori della comunicazione e del Comune di Roma. Il Dvd, edito da Edit Coop nel 2008 è stato regalato a Natale 2007 a mille giovani lavoratori dei call center, ritenuti giustamente gli eredi non fortunati delle grandi fabbriche tipografiche del Novecento. 19 I compagni. Italia-Francia-Jugoslavia 1963; genere: drammatico; regia: Mario Monicelli; sceneggiatura: Age, Scarpelli, Monicelli; fotografia: Giuseppe Rotunno; montaggio: Ruggero Mastroianni; musiche: Carlo Rustichelli; produzione: Franco Cristaldi-Lux Film, Vides Cinematografica, Méditerranée Cinéma Production, Aval Film; a, durata: 128 minuti; interpreti: Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Annie Girardet, Folco Lulli, Bernard Blier, Raffaella Carrà. 20 Fickering Flame. Francia, Regno Unito 1998; genere: documentario; anno: 1998; regia: Ken Loach; sceneggiatura: Ken Loach; produzione: Rebecca O'Brien-Sixteen Films, Upian; durata: 50 minuti.
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Vorrei qui preliminarmente e parenteticamente ricordare, a riprova dell’inconsistenza della distinzione tra film-documentario e film-fiction, Ouvriers et ouvrières sortant de l’Usine Lumière, del 1895, dei Fratelli Lumière, che è all’origine del cinema stesso. Come è noto si tratta di un’unica inquadratura, fissa, che coincide con la scena, leggermente obliqua per sfruttare la profondità di campo. Le dinamiche dei soggetti filmati, che procedono a piedi o, più raramente in bicicletta, persino i loro abiti, come quelli svolazzanti delle operaie, sono consciamente o inconsciamente finalizzate a creare movimento e spettacolo.21 Nel film I compagni, un film storico corale e robusto, da Monicelli sempre preferito, nonostante non avesse avuto un grande successo di pubblico, le vicende sono ambientate a Torino, negli anni di fine Ottocento, quando ancora non è la capitale dell’automobile e il sindacato è ancora nella sua fase di incubazione. Gli operai di un’industria tessile dopo un incidente sul lavoro iniziano a prendere coscienza delle loro condizioni e chiedono una riduzione dell’orario di lavoro. La protesta fallisce, ma arriva da Genova, città nella quale, nel 1892 è stato fondato il Partito dei lavoratori italiani, un propagandista socialista, impersonato da Marcello Mastroianni, che organizza lo sciopero ad oltranza. L’arrivo di un treno carico di crumiri provoca accesi tafferugli nei quali perde la vita uno degli operai. Lo sciopero prosegue e la resistenza dei padroni vacilla, ma gli operai sono stremati e meditano di tornare al lavoro. L’intervento della polizia e dell’esercito sancisce il fallimento della rivolta. Gli operai ritornano in fabbrica sotto il peso della sconfitta, ma con nuove prospettive per il futuro. Il riferimento a Ken Loach è d’obbligo, essendo il grande regista irlandese capofila e caposcuola del cosiddetto social realism cinematografico che continua a rappresentare storie, sempre nuove, di uomini e donne della working class.22 In questo documentario interattivo di Loach, la cui produzione cinematografica è prevalentemente incentrata sul lavoro, anzi sui lavori del mondo postfordista, con epicentro nell’Inghilterra post-thatcheriana, è narrata, con parole asciutte e partecipate e con immagini essenziali, la vicenda dei 500 portuali di Liverpool licenziati, nel settembre del 1995, per aver rifiutato di forzare un picchetto di scioperanti. La Mersey Docks and Harbour Co recluta allora, per sostituirli, del personale non sindacalizzato. La vertenza drammatica dei portuali di Liverpool costituisce emblematicamente l’ultimo bastione della resistenza in Gran Bretagna al lavoro precario e

21 LUMIÈRE, L., 1964, présentation par Georges Sadoul, Choix de textes et propos de Louis Lumiére, Seghers, Paris. 22 LAY, S., 2002, British Social Realism: From Documentary to Brit-grit, Wallflower Press, London.
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si conclude con un insuccesso, anche per il mancato appoggio delle Trade Unions. Il titolo del documentario Fickering Flame, fiamma tremolante, è carica di significati. Alcuni anni or sono (21-23 novembre 2007), ho partecipato a un Colloquio internazionale, organizzato dall’Université de Provence, dalla Cité du Livre / Institut de l’Image, Filmer le Travail, Films et Travail, con interventi di studiosi, amministratori locali e dirigenti sindacali, dibattiti e proiezioni di film.23 Può essere per noi d’aiuto dar conto dei temi principali affrontati nelle diverse sessioni: 1. Filmare per analizzare. Qual’è lo statuto accordato all’immagine video e cinematografica, nella ricerca e per la ricerca? Che apporto in più rispetto ai documenti tradizionali essa fornisce allo studio delle situazioni e delle attività del lavoro. A che serve l’immagine: a testimoniare, osservare, illustrare, descrivere, analizzare? Ne conseguono numerose questioni di ordine metodologico, teorico, epistemologico e anche estetico e etico. 2. Le rappresentazioni del lavoro con approccio documentario e/o fiction. È opportuno e urgente delineare un bilancio d’insieme e una riflessione multidiscipilnare della produzione audiovisiva disponibile sul tema del lavoro, sulla sua evoluzione, la sua diffusione, la sua collocazione nell’universo mediatico. 3. Utilizzazione dei film nelle e per le imprese. Quale mediatizzazione. Filmare il lavoro per chi e per quale scopo? Quali possono essere le forme e le funzioni della restituzione agli attori presenti sul terreno? Presa di coscienza, formazione, trasformazione? Sono tutte questioni che implicano una riflessione sullo statuto del potere e sulle costrizioni che ne conseguono. 4. Il posto degli operatori. Se i film documentari e di finzione permettono una migliore comprensione dell’attività del lavoro, qual’è la funzione della parola degli operatori del cinema. Quali dispositivi usare per raccoglierla? A quali condizioni i loro saperi e i loro saper fare possono essere inscritti in un processo di co-elaborazione che li renda produttori di conoscenza. Sono questioni ancora aperte e interrogativi che attendono delle risposte.24 Soprattutto da parte degli storici, particolarmente da quelli che, condivedendo una felice metafora

23 EYRAUD, C., LAMBERT, G., 2010, Filmer le travail, films et travail. Cinéma et sciences sociales, Université de Provence, Aix en Provence.

24 A questi interrogativi ha provato a rispondere, con il suo straordinario sapere e saper fare, Ansano Giannarelli, prematuramente scomparso, che merita di essere ricordato per la sua insuperabile lezione su questi temi. Cfr. MEDICI A. (a cura di), 2012, "Cercando la rivoluzione. Ansano Giannarelli, i film e le idee", Annali 15 dell’Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico, Effigi, Arcidosso.
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immaginifica di Marc Bloch, sono convinti che "Il buono storico somiglia all’orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda".25


BIBLIOGRAFIA ACCORNERO, A., 2000, Era il secolo del lavoro, Il Mulino, Bologna.

BEVILACQUA, P., 1997, Sull’utilità della storia, Donzelli, Roma.

BERTETTO, P., 1990, Fritz Lang. Metropolis, Lindau, Torino.

BLOCH, M., 1969, Apologia della storia. O mestiere dello storico, Einaudi, Torino.

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CHAPLIN C., 1964, La mia autobiografia, Mondadori, Milano.

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GOODWIN, J., 1993, Eisenstein, Cinema, and History, University of Illinois Press, Chicago.

LAY, S., 2002, British Social Realism: From Documentary to Brit-grit, Wallflower Press, London.

LUMIÈRE, L., 1964, présentation par Georges Sadoul, Choix de textes et propos de Louis Lumiére, Seghers, Paris.

MEDICI, A., 2010, Giovanna. Storia di un film e del suo restauro, Ediesse, Roma.

MEDICI A. (a cura di), 2012, "Cercando la rivoluzione. Ansano Giannarelli, i film e le idee", in Annali 15 dell’Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico, Effigi, Arcidosso.

MUSSO, S., 2002, Storia del lavoro in Italia. Dall’unità a oggi, Marsilio, Padova.

NIETZSCHE, F., 2010, (trad. it. Ulivieri, M.). Umano troppo umano, Newton Compton, Roma.


25 BLOCH, M., 1969, Apologia della storia. O mestiere dello storico, Einaudi, Torino, 41.

Modalità Valutazione

La valutazione, qualora sarà possibile svolgere gli esami in presenza, comporterà una prova orale sulla conoscenza del saggio messo in rete e una discussione sulle schede dei film scelti.